L’anima Profonda Del Web/5 – Storytelling, La Vostra Storia

Giochi Olimpici 1968. La foto più iconica è quella dei due atleti di colore – Tommie Smith e John Carlos – sul podio con il pugno alzato mentre risuonano le note dell’inno americano. Sono loro due, a Città del Messico, a farsi portavoce del Black Power e di tutti gli afroamericani che tentavano di rivendicare maggiori diritti. Fanno parte dell’Olympic Project for Human Rights, che avanzava richieste molto chiare come escludere dai Giochi gli Stati sudafricani che sostenevano politiche di apartheid ed estendere anche alle persone di colore il diritto di diventare allenatori. Per il loro attivismo, Smith e Carlos hanno ricevuto persino proiettili a domicilio. Ma non hanno mai mollato e hanno sfruttato la loro meritatissima presenza sul podio per attirare tutti i riflettori del mondo sulla lotto contro le discriminazioni. Prendiamo in prestito questa vicenda per parlare di comunicazione e Storytelling.

E’ un anno caldo, quel 1968, lo stesso anno in cui venne anche ucciso un altro simbolo della lotta contro il razzismo, Martin Luther King. E’ l’anno in cui Smith fissa il nuovo record mondiale dei 200 metri piani. La medaglia d’oro è sua. Carlos arriva terzo. Sono due statue, due giganti, soprattutto in confronto a quel piccoletto bianco che comunque agguanta il secondo posto. Il piccoletto si chiama Peter Norman, è australiano. In quella foto sul podio sembra lì per caso. In effetti il suo secondo posto è una sorpresa, così come lo è il suo ruolo reale in questa storia. Smith e Carlos si dirigono a ritirare la loro medaglia con addosso collane e bracciali che simboleggiano la schiavitù e i neri uccisi dal razzismo. Indossano anche la spilla dell’Olympic Project forHuman Rights. E un guanto nero, uno a testa, sul pugno chiuso che alzano durante l’inno. Saranno espulsi dal villaggio olimpico e una volta rientrati negli Usa vivranno una vita costellata per anni da minacce, perennemente sotto controllo da parte dell’Fbi, con famiglie e figli da mantenere e un lavoro che non si trova facilmente.

Pochi minuti prima di salire sul podio anche Peter Norman si era fatto dare una spilla del Progetto Olimpico per i Diritti Umani. Se ci fosse stato un altro paio di guanti neri l’avrebbe indossato, purtroppo gli altri due atleti avevano diviso l’unico paio disponibile. Quel piccoletto, l’unico sul podio che sembrava sereno, aveva scelto eccome da che parte stare. E, proprio come gli altri due, ha scontato amaramente questa scelta con una continua esclusione in patria, nonostante quel risultato clamoroso. In alcune statue e commemorazioni neanche viene ricordato, nella mente di tutti sono rimasti i volti e i pugni dei due atleti-eroi di colore. Nel 2012 il Parlamento Australiano si scusa. Ma Norman è morto nel 2006. La fama di Smith e Carlos è sicuramente maggiore, sono loro i due eroi, ma di fatto c’è voluto troppo tempo per riconoscerlo. Soltanto quest’anno sono stati inseriti nella Hall of Fame olimpica Usa.

Questo racconto ci insegna a diventare cantastorie

Ogni disciplina sportiva, ogni azienda, ogni famiglia ha storie memorabili e con una potenza tale da riuscire a racchiudere epoche e valori meglio di qualsiasi discorso. E ogni storia ha i suoi eroi.

Negli ultimi anni le aziende e i loro reparti marketing, per comunicare i propri prodotti ai consumatori, si sono concentrati proprio su una tecnica che si focalizza sul creare storie attorno al brand, inserendovi il prodotto stesso, perché questo rimanga nella mente del destinatario. Uno degli esempi più emblematici è la storia ambientata nel mulino più conosciuto dagli italiani con protagonista Antonio Banderas e la cara gallina Rosita. Il prodotto viene mostrato, ma in un contesto più ampio e variegato. Le caratteristiche sono elencate come parte di una trama e di un dialogo, non come spiegazioni didascaliche e noiose. Se torniamo indietro nel tempo, un esempio ancora più riuscito erano i famosi spot strappalacrime della pasta con protagoniste bambine in attesa dei papà e simili. La pasta era cruciale nello sviluppo della storia, ma era la storia ad essere ricordata dal consumatore davanti allo scaffale del supermercato. E, alla fine, quella pasta veniva comprata (o così pare). Questa tecnica si chiama Storytelling e si può applicare a qualsiasi realtà che voglia tenere stretti a sé i propri atleti e i propri fan.

Tutte le società sportive hanno una storia, lunga o breve che sia. E, quindi, tutte le società sportive possono raccontarsi, con i loro successi, i loro protagonisti e gli eroi. Abbiamo già parlato nelle puntate precedenti di canali e contenuti. Mostrare il video di un gesto atletico memorabile o di un atleta che nella vita è un campione di solidarietà, ad esempio, fa sempre breccia sui social e resta condivisibile nel tempo. Le grandi imprese e i volti degli atleti che le realizzano sono evergreen potentissimi e ci riportano anche ai valori più autentici su cui si fonda lo spirito sportivo. Non è complicato trovare belle storie: basta spulciare un po’ nella vita degli atleti, soprattutto di quelli del passato che vivevano in un mondo nel quale occorreva ancora portare avanti lotte come quella di Smith, Carlos e Norman. Le curiosità saranno travolgenti.

Il passo successivo, ovviamente, è raccontare un’altra storia.

La vostra
Anna Tita Gallo

 

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