Nascere a Boulder (letteralmente ‘masso’) significa quasi avere il destino segnato: la cittadina del Colorado, dove le Montagne Rocciose abbracciano le Grandi Pianure, è patria del climbing. Una strada tracciata per molti appassionati, anche per Erik Weihenmayer, primo non vedente ad aver scalato l’Everest. Affetto da retinoschisi, una malattia rara che lo ha portato alla totale cecità all’età di 14 anni, il giovane Erik coltivò due passioni: la lotta libera e l’arrampicata. Nel wrestling rappresentò il Connecticut al Campionato Nazionale Juniores. “L’arrampicata mi sembrava pericolosa, rischiosa, una sfida alla ragione”, disse in un’intervista. “E per questo ne ero attratto”.
Nel climbing il primo traguardo fu una montagna celebre per motivi politici: chiamata ‘Denali’ dagli inuit, nel 1896 fu ribattezzata Monte McKinley in onore del 25° presidente degli Stati Uniti. Il Governo tornò ad adottare la denominazione dei nativi nel 2017, ma nel gennaio 2025 l’amministrazione Trump, sulla falsariga del renaming del Golfo del Messico, ristabilì il nome presidenziale. È la montagna più alta del Nord America ed Erik la scalò, dando inizio ad un’opera di sensibilizzazione culminata con la fondazione del movimento ‘No Barriers’. Raggiunse anche la vetta di Kilimangiaro in Africa (1997), l’Aconcagua in Sud America (1999) e Monte Vincent in Antartide (gennaio 2001).
Ama ripetere che “ciò che è dentro di noi è più forte di ciò che ci ostacola”. Con questo spirito il 25 maggio 2001 Erik Weihenmayer raggiunse gli 8.850 metri dell’Everest. Lo fece seguendo il suono di un campanello incastonato nella piccozza del compagno di cordata che lo precedeva, ascoltando le indicazioni urlate dagli altri membri della spedizione nei momenti critici della scalata: crepacci, ponti, scale. “La percezione che le persone hanno dei limiti di una persona cieca è più pervasiva di quelli che i ciechi impongono a sé stessi”, ebbe modo di dire. “È stato incredibile. Raggiungere la vetta è stato il sogno di una vita. E quando sono arrivato lassù, sapevo di esserci arrivato, ma una parte di me quasi non ci credeva. Una parte di me pensava che stessi sognando. E continuavo a ripetermi: ‘No, sei sveglio e l’hai fatto davvero’”.
Merito anche di un lavoro di squadra enorme (diciannove i componenti della cordata) che contribuì ad abbattere barriere. Il 21 maggio 2017, Andy Holzer, cieco dalla nascita, divenne il secondo non vedente a raggiungere la vetta del monte Everest, il primo a riuscirci attraverso la via del Colle Nord. Nel 2021 Rustam Nabiev, alpinista senza arti inferiori, scalò con successo la vetta del Manaslu (8.163 m), diventando il primo doppio amputato ad arrivare in cima al mitico ottomila. Anche un italiano ha vissuto una storia simile: Il 13 maggio 2022 Andrea Lanfri completò la scalata all’Everest diventando il primo alpinista pluriamputato con meningite a riuscirci. L’ispirazione è il risultato più grande di queste imprese destinate a rimanere indelebili nella storia dell’alpinismo.
Foto Everest Author