Sinisa, Luca E Quella Testimonianza Vincente

Quando gli uomini lasciano testimonianze così forti e profonde della loro esistenza, l’esempio rimane e ci riempie anche nella loro assenza fisica. Sinisa Mihajlovic e Gianluca Vialli sono stati legati fra loro anche da una grande amicizia comune, con Roberto Mancini. Ma in comune hanno avuto soprattutto la forza e la serenità d’animo di affrontare malattie gravi, senza paura di mostrarsi in pubblico con tutte le loro debolezze. Hanno lottato e hanno vinto, ognuno a modo proprio, entrambi campioni veri della vita oltre che del pallone. Sinisa chiamava “bastarda” la sua leucemia; Luca ha “accolto” il suo tumore al pancreas: “Sarei un folle a combattere un nemico più forte di me, troppo più forte. E allora viaggiamo insieme, lo tengo a bordo, nella speranza che si stufi e scenda”.

La speranza non l’hanno mai persa, con la consapevolezza di dare pienezza e profondità al tempo che avevano. Poco, troppo poco ma vissuto assaporando ogni goccia alla fonte della vita. In questo cammino li ha aiutati la fede, non miracolistica e nemmeno da brandire ma da testimoniare con amici e persone care, per aiutare loro, per prepararli e prepararsi al nuovo viaggio.

Non sono santi Sinisa e Luca, non hanno mai preteso di esserlo. Sono uomini che hanno sbagliato e sempre hanno avuto la forza di rialzarsi. La gloria, i gol, la popolarità non hanno scalfito le rispettive radici. Di quel mondo dorato in cui hanno vissuto alla fine hanno raccolto la lezione di vita migliore. E così hanno deciso di mostrarsi finché hanno potuto, per dire che la vita è bella “e anche nella malattia ci sono momenti bellissimi” come sottolineava Vialli.

Spesso si unisce il concetto di campione a quello di vincente, travisandone il significato. Sinisa e Luca restano campioni veri perché hanno saputo vivere sportivamente senza lamentele o pietismi questa loro partita. Qualcuno pensa che l’abbiano persa. Non è così. La loro voglia di vivere e di godersi ogni momento, anche su un campo di calcio, anche quando le forze venivano meno e si usava un cappello come scudo, sono un esempio forte. Un messaggio profondo che dobbiamo saper cogliere.

 

 

Maurizio Nicita