Quarant’anni vissuti al massimo, ecco chi è stata Marieke Vervoort, atleta paralimpica scomparsa nei giorni scorsi. Il suo modo di uscire dalla vita terrena può essere discusso e discutibile, ma per chi ama la vita è più importante ricordare come Marieke abbia esaltato la sua esistenza, attraversandola con una energia esemplare. Lo sport come leva per rialzarsi di fronte a enormi difficoltà, per testimoniare la sua gioia di vivere, di esprimere la sua forza.
Da adolescente era passata da un medico all'altro: “Non sapevano cosa avessi e mi davano cattive notizie”. Lo scoprirono quando stava avvicinandosi ai vent'anni: una malattia muscolare degenerativa con dolori continui, paralisi alle gambe. La causa: una rara deformità tra la quinta e la sesta vertebra cervicale. Tutto era cominciato dal tallone. Negli anni il suo corpo riusciva a muoversi sempre meno. I medici le consigliavano di evitare lo sport. “Ma io non potevo smettere. Lo sport era quello che mi permetteva di vivere”. Cominciò quello paralimpico: basket in carrozzina, nuoto, vela.
Si mise a fare triathlon: nuoto, handbike, corse in carrozzina. Divenne campionessa mondiale nel 2006. Passò a quello estremo, l'Ironwoman: 3,8 km nel mare, 180 spingendo con le braccia l'handbike e una maratona in carrozzina per finire. La malattia andava avanti, il corpo rispondeva sempre meno. Così intraprese l'atletica in carrozzina. Vinse l'oro sui 100 metri alla Paralimpiade di Londra 2012 e da un argento sui 200, fu tre volte campionessa mondiale nelle gare veloci nel 2015, chiuse con un argento nei 400 e un bronzo sui 100 a Rio 2016.
Poi la malattia che avanza e progressivamente la spegne. E lei che continua a lottare, anche attraverso Instagram, dove posta la foto dell’ultima volta che spinse la carrozzina sulla pista dello stadio Engenhao, a Rio de Janeiro, ai Giochi dove vinse altre due medaglie. “Non si possono dimenticare i bei ricordi!”.
Ha trasformato la sofferenza della corsa su una sedia a rotelle in cura.
“Ricordatemi come una pazza allegra che amava le sfide”.
Ecco fatto: grazie Marieke.
Maurizio Nicita