Emanuele Blandamura - Foto Fabio Lerario

Emanuele Blandamura, pugile e mental coach: “La mia vita come una salita. Nessuna discesa porta in cima”

Di Mattia Zucchiatti

Le storie di famiglia sono mosaici che nascondono potenzialità e fragilità. Trame che legano i successi sportivi al racconto di un nonno o la preparazione a un match alla ricerca di quei tasselli mancanti che possono risolvere conflittualità interne. Nel caso di Emanuele Blandamura, ex pugile campione d’Europa e sfidante mondiale, parlare di sport e ricerca interiore equivale a parlare della stessa cosa. La sua è una storia che inizia a Udine, dove è nato, e continua, dopo la separazione dei genitori, a Roma, dove viene cresciuto dai nonni Felice e Isabella e dalla zia Teresa. La carriera di pugile inizia all’età di 18 anni nella Capitale e conosce tappe fondamentali a Stoccarda (dove vince il titolo EBU), Manchester e Milano (dove perde le due prime chance europee, prima del trionfo a Colleferro contro il futuro campione continentale Matteo Signani) e Yokohama, dove accarezza il sogno del titolo mondiale. Oggi Emanuele Blandamura è ambassador della Federazione Pugilistica Italiana e consigliere di Opes, ma soprattutto è un mental coach.

La fine della carriera da pugile e l’inizio di quella da mental coach. Come è stato il passaggio?

Mi sono ritirato ufficialmente nel 2019. Morrison mi sconfisse con un KO devastante e in quel momento capii che era meglio lasciare. C’è un’età per tutto. Ho quindi avuto modo di innamorarmi di questo mio secondo lavoro, il mental coaching. Mi piace aiutare le persone somministrando esperienze. La mia vita è stata in salita ed è stata una salita bellissima. Come dico sempre non ho mai visto una discesa che porta in cima. Essere un esempio per i ragazzi su come realizzare il proprio futuro è un obiettivo che ho perseguito studiando molto. Il coach prima sperimenta su sé stesso, quando scopre che quel metodo è vincente lo propone.

Hai appeso i guantoni al chiodo, ma non hai lasciato la Federazione

Oggi sono coordinatore del Team Ambassador FPI: una bella squadra di pugili vincenti sul ring e nella vita. Il pugilato sta cambiando come se fosse un camaleonte e stiamo cercando di dargli una forma diversa. Vogliamo far capire che dove c’è disciplina, non può esserci violenza nel pensiero.

Il trash talking è un problema?

Ognuno deve fare come meglio crede e non voglio giudicare, ma quel tipo di comportamento va in contrasto con ciò che facciamo nelle scuole. In un certo momento la vita non sarà incentrata sulla fama, ma sulla necessità di riconoscere il proprio valore. Se semini tempesta, raccogli tempesta. Penso anche a questi pugili provenienti da Tik Tok: è una bolla destinata a scoppiare. I social distraggono da quella che è la vera mission del pugile e vanno usati con rispetto.

Capitolo carriera. Partiamo dalla rincorsa al titolo europeo

Nel 2014 affrontai Billie Joe Saunders, che poi divenne campione del mondo, dopo aver vinto il titolo dell’Unione Europea in Germania. Fui sconfitto per KO tecnico e qualche mese dopo la vita mi rifilò un altro colpo e tutto sembrò cadere a rotoli.

Cosa successe?

Morì mio nonno, una figura fondamentale per me. Non c’è giorno che io non pensi a lui. È stata una grande fortuna averlo vicino, mi ha insegnato ad avere rispetto per la vita degli altri e a dare tutto per la mia. Partendo dal rispetto per me stesso ho imparato ad averne per il prossimo. I suoi racconti duri e burrascosi mi hanno cresciuto. Durante la guerra è stato attaccato per due giorni a un pezzo di legno in mare dopo l’affondamento della nave su cui si trovava a opera di un sommergibile. Si salvò e l’emozione con cui raccontava questo episodio mi ha fatto capire la lotta che ha avuto con la vita stessa. Quel pezzo di legno rappresentava la guerra, ma anche la lotta per la sopravvivenza: riuscire a restare aggrappato alla vita è un obiettivo e tutti noi nel nostro percorso dobbiamo trovare quel pezzo di legno: che sia lo sport, il lavoro, la famiglia o qualsiasi altro elemento reale e concreto.

Per te quel pezzo di legno è stato il ring

Dopo la nuova sconfitta europea contro Soro (luglio 2015, ndr) potevo dire basta e non nego di averci pensato. Ma avevo promesso a mio nonno che sarei diventato campione d’Europa e questo fu un richiamo troppo forte.

 La storia personale che si intreccia con la carriera sportiva

Nel 2007 ho ripreso i rapporti con mia madre, con la quale ho costruito un rapporto fatto di rispetto reciproco e ascolto. Grazie a questo rapporto ho iniziato a vedere più chiaro. Dovevo mettere a posto quel disordine che avevo nelle mie relazioni, sentivo la necessità di conoscere mia madre per risolvere alcuni aspetti legati al mio rapporto con le donne. Non basta però individuare un problema, bisogna lavorarci. È quello che ho imparato col mental coaching. E oggi posso dire di aver conosciuto l’amore grazie a Silvia Gallo, la mia compagna: con lei c’è un rapporto fatto di rispetto e interdipendenza. Strade diverse, ma con un unico obiettivo che porta alla stessa meta: questa per me è un’espressione di amore. Sono stato fortunato ad incontrarla.

Il 16 dicembre 2016 la nuova chance europea contro Matteo Signani

Quel giorno sugli spalti c’erano mio padre e mia madre insieme. Era tutto perfetto e infatti finalmente vinsi il titolo europeo. È stata l’emozione più grande della mia vita. Poi siamo andati a cena fuori, mi sono seduto a capotavola, ho guardato in cielo e col pugno sinistro, perché la mano destra era rotta, diedi una botta sul tavolo come faceva mio nonno a mo’ di incoraggiamento. E mi sono detto: ho fatto un buon lavoro.

Dopo aver vinto il titolo continentale e dopo averlo difeso contro Alessandro Goddi, è arrivata la chance iridata

Combattere per un Mondiale è tanta roba. È stata una grande emozione. Avrei dovuto fare la terza difesa europea, ma intanto il mio manager (Salvatore Cherchi, ndr) stava portando avanti le trattative con Ryota Murata, detentore del titolo WBA. Combattere davanti a migliaia di tifosi e milioni di telespettatori è stato bello. La pressione però era dura. In Giappone i giornalisti mi stavano alle calcagne, all’aeroporto appena arrivai, venni sommerso da una mitragliata di flash dei fotografi. Murata vinse, ma diventammo amici.

Cosa manca per vedere un pugile italiano combattere nuovamente per una cintura mondiale?

Al pugilato italiano serve solo la chance. Abbiamo speranze in Magnesi, ma abbiamo tanti altri ragazzi bravi.

Quanto è bello sapere che i giovani potranno continuare a sognare l’oro olimpico dopo la conferma della boxe nel programma di Los Angeles?

Sono stracontento per più aspetti. E uno di questi è l’entrata in scena di Golovkin (nuovo presidente della commissione olimpica della World Boxing, ndr). È una persona seria e un esempio. Mi fa veramente piacere.

Mattia Zucchiatti

Foto Fabio Lerario